C’ERA UNA VOLTA LO SPIEDO BRESCIANO – Stefano Pazzaglia

C’era una volta lo spiedo bresciano, quello con gli uccellini. El spét. La caratteristica di questo piatto è data proprio dai piccoli volatili che donano, a tutte le carni che li accompagnano sullo schidione, il tipico sapore amarognolo. C’è chi usa la coppa di maiale, chi la lonza, chi ci mette il pollo e chi il coniglio, oppure le patate, ma gli uccelli non possono mancare. Ghè mia spét senša ošéi (non c’è spiedo senza uccelli). Lo spiedo per noi bresciani è qualcosa che va oltre la tradizione gastronomica, è festa, allegria, è socializzare, raccontarsela insomma. Chi di noi in autunno non va almeno una volta in quelle trattorie sempre un po’ troppo piene e rumorose a gustare il manicaretto? Lo spiedo è una tradizione, legata alla caccia, che ci accompagna da sempre.

Due fredde righe inserite in un decreto legge del giugno di un paio d’anni fa e convertito in legge in agosto vietano di vendere, detenere per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, “anche se importati dall’estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione Europea”. Lo spiedo con gli uccelli resterà consentito ai privati che avranno la fortuna di poterlo cucinare in casa ma non potrà più essere gustato al ristorante. Spero, anche se ho qualche dubbio, che questa norma sia volta alla tutela dell’avifauna e non al soddisfacimento di qualche politico che necessitava del trofeo per mostrarlo al proprio elettorato.

Il divieto ha avuto effetti negativi sulla ristorazione bresciana, che aveva in questo piatto il suo punto forte, traducendosi in una perdita di posti di lavoro.

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