RADICAL CHIC – di Mattia Feltri

Enzo Bettiza è morto poco meno di un anno fa, il 26 luglio 2017. Quando è morto, molti hanno scritto, pigramente e scioccamente, che era un “viscerale anticomunista”. Se uno è anticomunista, per come lo era Bettiza, lo è visceralmente, avendo conosciuto gli orrori del comunismo, e non meno è antifascista, e nemico di ogni autoritarismo. E così era Bettiza. Visceralmente anticomunista, visceralmente antifascista, e lo era da destra, una normale destra civile.
Nel suo libro più bello (Esilio, un capolavoro) scrisse questa pagina monumentale, per la quale oggi si guadagnerebbe il titolo di radical chic, ancora più pigramente, ancora più scioccamente.

“Fin dalla prima età della ragione io avevo istintivamente detestato qualsiasi forma e manifestazione di nevrosi nazionalistica. Avevo sempre resistito, proprio perché circondato dai loro canti seduttivi, alle varie sirene fomentatrici di odio e di fanatismo razzistico. Da solo, senza leggere Grillparzer, avevo intuito che c’era un nesso fatale e losco fra la nazionalità e la bestialità (…) I miei sentimenti e la mia mente dovevano maturare quindi nel disgusto per ogni genere d’amputazione semplificatrice verso il prossimo e, in particolare, verso me stesso (…) Già ai tempi del ginnasio zaratino opponevo il silenzio e il disprezzo a tutti coloro, anche più grandi di me, anche insegnanti, che cercavano d’instillare l’astio di razza contro gli slavi e gli abissini”.

Quanto ci manca uno come lui.

 

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