COME T’ERUDISCO IL LETTORE CON DELLA BUONA ED UTILE SCIENZA – di Danilo Cannizzaro
A quanti si scervellano nella ricerca affannosa di un rimedio efficace contro la caduta dei capelli, e soprattutto ai soliti sfaccendati che ripetono per la millesima volta (dopo cinque-seicento, in realtà, perde in brio e vivacità) che l’unico veramente adeguato sia il pavimento, rivelerò la storia, illuminante, che ha per protagonista il mio amico.
Chissà da quanto tempo (forse da quando il maestro entrava in classe e tutti i bambini si alzavano in piedi salmodiando prima, “Buongiorno!”, e poi, poco dopo, la preghierina) i capelli avevano deciso ch’era venuto ormai il momento di espatriare dalla cute d’origine, e sparpagliarsi per il mondo, orfanelli abbacchiati dagli accidenti e dalle avversità della vita!
Cionondimeno, lui, a distanza di anni, ostinato continuava, con mano fugace e sbadata, a riavviarseli come fosser tuttora presenti (bimbi e capelli) al nostalgico appello. Faceva questo allo stesso modo di chi, privato per disgrazia di un braccio o una gamba carezzi l’assenza dell’arto fantasma: mestamente pertanto lisciava i capelli, fantasma.
La conoscenza di questa utile informazione sarà ancor più fruttuosa appena si saprà che, in questa malinconica mansione, apportava il pregio del gesto squisitamente distinto, ed i velati indizi di un vago disprezzo da amante ferita e di un delicato scetticismo (per amor di precisione: ellenisticamente attraversato da indefinite somiglianze con il disegno che Eusebio di Cesarea attribuisce a Pirrone di Elide quando afferma che, nell’impossibilità di conoscere una realtà sempre contingente e mutevole, non resta al saggio che l’aphasía: restare cioè muto e rinunciare ad ogni affermazione qualificante).
Ma non furono gli spettri piliferi a beneficiare dell’amabile lisciatura questa volta, una vischiosa sostanza bensì, cosparsa sulla cervice implume a mo’ di cataplasma curativo (che però curativo non era) dacché una carcarazza[1] aveva fatto sonoramente esplodere il ben calcolato lancio del denso escremento sulla pelata – collocata con ingenua fiducia sotto il riparo della frescura di un albero –, eleggendola qual splendido bersaglio individuato nel volo radente.
Un attimo prima dell’impatto turpe, Concetto faceva volare, invece, il pensiero sopra la tomba dov’era disteso il suo papà a riposare senza peraltro dar troppo peso a quanto fosse triste restar sempre lì, tutto l’inverno, tutti gli inverni, da solo – nascosto quasi – fra tombe prive di croce dove tanti altri compagni sistemati là a svernare anch’essi, si perfezionavano nell’abilità di diventare, come i capelli del Nostro, orfani per l’eternità.
A trovare il papà e dirgli due parole silenziose ci andava, fèttivamente, di tanto in tanto, ma le visite più numerose il dormiente le riceveva dai venti scapestrati del camposanto, che in cambio, ma con la promessa di far da guardiani da lassù, nel cielo alto, pian piano gli avevano soffiato via quel poco di calduccio dalle ossa, e da un vecchietto incurvato come un amo che se n’andava fra le sepolture tossendo – perché qualcuno lo notasse e lo commiserasse – a causa di una sua particolare malattia ai bronchi estesa infine alla persona intera: la solitudine.
Adesso, il Lettore, a suo piacimento può ben far scorrere musica e titoli di coda, dal momento che la scena mostrata or ora è e rimane, bella e buona, una divulgazione scientifica, per mezzo della quale l’Autore intende dimostrare che non esiste altro che un rimedio, per opporsi all’ordinaria, sgarbata scomparsa dei capelli: una virile mestizia.
Non funziona come correttivo, ciò è vero, ma uno ci fa comunque, una bella figura.
***
(Ditelo, ad amici e parenti, e pensatemi dunque, com’io già feci e perduro).
[1] La gazza, nota anche come gazza ladra o gazza eurasiatica (Pica pica) è un uccello passeriforme della famiglia dei corvidi (N. d. C.).
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