LA SINDROME DI ASPERGER – di Danilo Cannizzaro
La sindrome di Asperger [1]
Recentemente il signor Grillo Giuseppe Piero – detto “Beppe” – ha brillantemente intrattenuto i suoi simpatizzanti nella convention Italia 5 Stelle con un discorso ricco di battute con cui ironizzava sui “filosofi che parlano in televisione”, bollandoli per la loro presunta distanza rispetto al sentire comune con la definizione di “persone con la sindrome di Asperger”.
Non è facile contenere lo scompisciamento quando si rammenti l’apice della comicità, toccato per mezzo di asserzioni quali: “siamo pieni di autistici” e “c’è pieno di psicopatici”, così indicando persone che “parlano in quel modo” e che “non capiscono”: ne abbiamo ancora dolenti i fianchi.
(Molte le risate, da parte della folla presente che senza sforzo identificava le “persone diverse” come stereotipati destinatarî di derisione e sarcasmo).
Diamo quindi – suvvia – a Cesare quel ch’è di Cesare: il Circo Massimo di Roma ha decretato un trionfo – limitiamoci a computare la parte più bonaria dei politici, degli utenti “social” e delle associazioni – nel dominio delle figure… “barbine”, ambito nel quale non ci pare inefficace segnalare un altro mirabile equivalente primato, raggiunto dai protagonisti della vicenda seguente.
***
Durante il rinfresco allestito per festeggiare il battesimo d’un nipotino, Concetto conobbe la “bimba”.
La quale signorinella, di essere, era signorinella già fabbricata e completa, sia come configurazione morfologica, sia come fragranze e superfici epidermiche, accessoriate in maniera esemplare, anche nelle rifiniture che, alle volte, uno dice: “Ah, però..! all’anima, della rifinitura!”.
Così e colà dunque la conobbe, mentre i convenuti si scambiavano, concitati e dementi, dettagli ampi tanto, quanto inutili, sul questo e sul quello – poco lesinando invero sul quell’altro – e lei invece pure scambiava dettagli or con un tale, or con un consecutivo tizio, a catena di montaggio cellofanatrice, in simil condotta di quand’io stesso firmavo autografi all’intorno spandendo: “Vi amo! Vi amo tutti!”.
(Ma non era esatto, né veritiero a dirla franca: non amavo davvero chiunque. E che..?).
Ebbene, a un dipresso, Concetto la ispezionò.
Anche lei lo guardò, con sufficiente attenzione per riuscire a leggere qualcosa, negli occhi di lui, dato che il capo accessoriatissimo reclinò, disperdendo virginal rossore, a partir dalle gote, di carminio avvampate.
S’arrivò dunque all’istante fatidico in cui nell’ordine, avvenne: Egli, vezzosetto e leggiadro saltabeccando siccome verde locusta oppur cavalletta migratoria, le si traslò da presso; Ella, immutabile e ferma, circonfusa d’inesprimibile lucor d’illibatezza eccelsa – la schiena nascondeva le ali – lo ricevé là nel punto dove ristava su un piede d’uccello fiammingo trampoliere; i rimanenti Crasti,[2] balzellon balzelloni – silenziosi e quatti – di gallina psicotica, al seguito si addussero ad un par di metri di distacco, imboscati dietro insussistenti quinte immaginarie, tutto cupidi spiando, ogni cosa origliando avidamente.
Nuovi progressi: Egli, pressoché nulla sapendo che dire, che fare, che agire, sillabe farfugliò irresolute, estemporanee, più o meno carenti di sostanziosa significanza, tormentandosi unghie e pellicine suicide con la cura di chi sostituirebbe il bilanciere miniaturizzato ad un Patek Philippe Calatrava Yellow Gold:
– «Eh… gnah… ah ah… gneh…»
Ella sgocciolò struggenti miagolii e risolini arrendevoli, con l’aria di vezzeggiare un passerotto in cerca di cibo piovutole sulle manine:
– «Mhu… ih ih… oh oh… hum…»
Sinché la zampa di lui, maldestra, sdrucciolò fino al confine del territorio dove abitava la manina di lei; che non fu – attenzione! – ritratta: verosimil segno di trasognatezza smagata.
– «Ah! Ih! Eh! Oh! Uh!» – si levò armonico il coro dei compagni di crastitudine, d’un guizzo sobillati. Volle perfino applaudire, uno, ma con poche – persuasive, detonanti – scarpate sulla collottola fu presto disattivato e messo a tacere, per tema che svanisse l’incantesimo.
Buona sorte volle che il silenzio rimpatriasse: in sua assenza non era ancor possibile domandare alla fatina il nome, né come sgarbugliasse la vita sua, e se tale sgarbugliamento potesse capitare anche fuori del controllo parentale, e se fuori allora, in “dove?”, non trascurando il “quando?”. Ecco che ora, finalmente, ciò succedé.
– «Sèeeh! Cosè se fa!» – tentò un ultimo colpo di coda l’animale spettatore poco prima rintronato a suon di suola. Un attimo dopo si stimò conveniente (anche per lui stesso, alla fin fine…) abbatterlo, per sempre.
Cionondimeno.
Egli ottenne e stipulò un appuntamento, occasione che la scimmiesca combutta esaltata giudicò, poco dopo in privato, degna di festeggiamenti sì, ma – vivaddio![3] – colle più villane e sguaiate modalità, caratteristiche presso lupanari raccomandati nella categoria dei peggio abietti.
***
L’ingresso dei giardini pubblici, fu, la sera seguente, la scenografia – concordata, s’è appreso – entro la quale un (di molto, agitato) Concetto fremeva e scalpitava nell’attesa della signorina agognata.
Un tenue velo di nebbia vespertina rivelava ancora il tremito appena accennato di sospiranti foglioline appollaiate sui rami d’albero, testimoni impazienti dell’imminente melodramma: osservatrici mute, codeste, a – notevol – differenza della disordinata compagine dei Crastunazzi maledetti, ai quali nessuna supplica poté intaccare le fondamenta del progetto maniaco di assistere, quantomeno discosti un tot, alle manovre tattiche del loro imbarazzatissimo eroe per un giorno.
Se il solo eroe l’avesse veduta arrivare – sebbene in ritardo – coi passetti galleggianti, da accorciar respiri, questi avrebbe in parte dissolto l’apprensione mortale che gli mordeva il petto ansioso, liberando un “Oh…” commosso e agonizzante; invece fu ugualmente avvistata dal resto dell’armento, che ad una voce polifonica di mostro multicefalo, intrattenibile, sgravò fonemi turpi, esprimendosi in una lingua ad essi bruti stessi ignota, fatta di belluine gutturalità indistinte, interiezioni pelose, arrochite sonorità da levar le zampe al cielo in segno di fatal premonizione d’avvento d’antiCristi, Molocchi,[4] Bafometti, [5] ovverosia diversificate babeliche calamità.
N’ebbe angustia perciò il Nostro, non lieve, e dolore al cuore, eppure oramai la mandria c’era, e nulla avrebbe potuto ricacciarla nella degradata concimaia da cui era stata vomitata.
Si riscattò però quel forte, e le andò incontro, sorridendo vergognoso e gentilissimo, col musetto sagomato in guisa d’esperto assaggiator di brodetti:
– «Niente ci fa che hai portato ritardo…» – testimoniò (confondendola con l’accelerato delle 19,20).
– «Oh!» – lei pigolò – «Essermene accorta? No, no… che sbadata io son..!» – civettuola leticando con la decodificazione sintattica – eventuale in quella boccuccia, non indispensabile.
– «Ma però che ti perdono…» – vermiglio il volto, confutò lui a sua volta, in spregio alla grammatica e all’inservibilità di pirolettare sul posto – «Perché sono moltissimo felice che ti vedo che sei venuta bene…»
(Non avrebbe detto in questo modo, se soltanto avesse responsabilmente soppesato – diremo in sua difesa).
(Infatti la feccia malnata reagì con esuberanti scompostezze e spumeggianti sensi tripli, mal tollerabili financo nei sopraccennati postriboli. Un conteggio – approssimativo ancorché – degli ilari scatarramenti triviali e degli schiaffoni reciprocamente scambiati per amor di cagnara gaudiosa, sarebbe stato ineseguibile).
Arrossì lei ed isbiancò lui. Entrambi colsero mormorii sogghignanti, tra cui:
– «Non fare così, poiché è pègio..!»; «A’ scavàllici ’à lìngua ’ntè iàrgi ie scìppici ’a mòla cariata!» [6]; «A’ sdirùpici ’à mànu ’ntà mutànna, ka ci tròvi ’ù mèli!» [7]; «Fòrza ’dduòku, calàmu ’cchè càsci!» [8] – ciononostante s’incamminarono lungo un vialetto, ai lati del quale le foglioline facevan loro segno di sventolar saluti, e complimenti soavi.
Non importa quali, paroline mescolarono simultaneamente, ed aliti, all’aroma di lentaggine (dal fogliame lucido e verde scuro) lei, al tanfo d’elleboro fetido (dalle radici grosse e scure e dai fiori tutti verdi) lui.
Poi Concettazzo si fece più audace, e le soffiò una parola tra i capelli di seta e d’organza, all’incirca dove calcolò che potesse sottintendersi l’orecchio, ibisco delicato come l’altre tutte inflorescenze complementari.
– «Uh!» – singhiozzò dilettata la signorina: incentivo più che sufficiente al riarmamento delle testate in possesso delle teste di bachelite [9] al ravvicinato seguito:
– «Kà sièmu!»; «Ora ci càla ’à secùnna ’iè s’arripìgghia!»; «S’allippàu ’à patièdda!»; «Ci vùgghi, ’ù pignatièddu!»; etc., etc…[10]
Maschio Concetto finse di ignorare i lazzi insalubri e di non conoscerne gli artificieri infami, ma nella ragazza cresceva un disagio istintivo, assediante, paragonabile al timor d’essere in pericolo. Pure tentò furtivamente, invitandola a sedersi su una panchina, di scacciare a gestacci micidiali la teppa asserragliata dietro smilzi alberelli; malgrado ciò detta multipla fetenzia aveva ormai assunto il contegno irriducibile dei Trecento guidati da Leonida in difesa del suolo patrio presso il passaggio angusto delle Termopili.
Stentatelle allora ripartirono trattative, impacciate, esitanti, del tutto prive di quel nerbo che, dritta e invitta la schiena, certa la bussola e forte il timone in man sicura retto, Tifi nocchiero intrepido, [11] in porto condusse.
– «Vedi che quando non sei di davanti agli occhi miei mi sento accupàre [12] tutto!»
– «Mmh… chissà a quante altre ragazze hai detto queste cose…»
Aspettava segnali di tal genere, la ciurmaglia? Giacché:
– «Amunì..! dàcci ’n baciètto..! ka fò, fò!!!» – deflagrò più energico un dei mostri disonorati – «Ka ’nnì stài fànnu assimpicàri a ’tùtti!» [13] – lo strepito associando ad oscene torsioni del polso esibente un pugno chiuso, che del modello comunista di riferimento aveva ben poco.
Di certo fu questo che la signorina non tardò ad interpretare come il segnale evidente che doveva ritornare a casa subito, e che non v’erano margini appropriati per rilasciare al mandatario Concetto garantiti titoli di credito futuro.
Per cui volò via, insieme agli ultimi nitori di luce, in men che non si dica.
Vani, i tentativi di accompagnarla.
Inefficaci, le giaculatorie preannunzianti dilaniato il petto e morte vicinissima in caso di rincontri mancati.
Fiacchi i farfugliamenti vili; inconcludenti i balbettii.
Niente.
Rien ne va plus, les jeux sont faits.
(Si chiude bottega; si rientrano capperi, olive e acciughe che san di lamiera – indistintamente – e larve di mosca; si tira un po’ di moccio sconsolato colante dal naso, il resto lo si spalma sul dorso della mano, ma senza convinzione).
Vinto e confuso, barcollante la tibia, vacillante il piede, via si trascinò anch’egli, verso imminenti cordogli, presto deglutito dal crepuscolo indifferente e ozioso.
Altrove.
“E intanto riede alla sua parca mensa, / fischiando, il zappatore…”, d’altronde “Diman tristezza e noia / recheran l’ore, ed al travaglio usato / ciascuno in suo pensier farà ritorno.”.
E sarebbe ciò ancor incompleto, se si tacesse che
“Poi quando intorno è spenta ogni altra face, / e tutto l’altro tace, / odi il martel picchiare, odi la sega / del legnaiuol, che veglia / nella chiusa bottega alla lucerna…”.
Fatto sta che – a prescindere dalle (più o meno censurabili) attività del legnaiuol – non ebbe più l’animo di cercarla.
Non la rivide.
(OdNaughty – 05. Juju Planet Dub – Dub Cici – Addsimeon Remix)
[1] La sindrome di Asperger è considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo, imparentato con l’autismo. Gli individui portatori di questa sindrome presentano una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi in alcuni casi ristretti.
[2] Crasto: montone, agnello castrato. Genericamente, nel linguaggio figurato, individuo greve, animalesco, essenzialmente tamarro.
[3] L’espressione è stata correttamente sostituita, a tutela dei piccoli Lettori a tutt’oggi impregnati d’innocenti sentimenti.
[4] Moloch è il nome sia di un dio, sia di un particolare tipo di sacrificio storicamente associato al fuoco. Oggi il termine “Moloch” viene usato in senso figurato per designare un’organizzazione o una persona che domanda o richiede un sacrificio assai costoso.
[5] Bafometto è un idolo pagano, della cui venerazione furono accusati i cavalieri templari. Il nome di Baphomet, è stato inoltre associato col tempo alla figura di Satana.
[6] Ci rifiutiamo di tradurre.
[7] Come per la nota precedente.
[8] “Orsù dunque, apprestiamoci all’opre feconde!”.
[9] Nome dato a una resina fenolica termoindurente ottenuta da formaldeide e fenolo per sostituzione elettrofila seguita da reazione di eliminazione, tramite reazione di Lederer-Manasse. Possiede caratteristiche isolanti termoelettriche.
[10] “Eccoci al dunque!”; “Innesterà dunque la seconda marcia e il motore si scatenerà!”; “La patella (molluschi patellidi del genere Patella, che vivono lungo le coste di quasi tutti i mari, attaccati agli scogli) è riuscita ad abbarbicarsi allo scoglio”; “Il (brodo contenuto nel) pentolino è (chiaramente) in fase di ebollizione!”; etc., etc.
[11] Tifide di Sife o Tifi, esperto conoscitore del mare (era lui che decideva quale direzione prendere) fu nella mitologia greca uno degli argonauti e il timoniere della nave.
[12] Soffocare, venir meno.
[13] Suvvia, dona a lui le tue labbra finalmente! Avanti! Coraggio! Alla buon’ora! Ci stai facendo tirare il fiato!
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