LA COSA, LÀ… (COME SI DICE..?) L’ETERNITÀ – di Danilo Cannizzaro

 

A sentire i panettoni televisivi, pare che quest’anno, il Natale, cada prima. Impazzano gli addobbi di Natale, le vacanze di Natale, i Mercatini di Natale, Menu e prezzi del cenone del 24 e del pranzo del 25, le tendenze per gli addobbi, le vacanze, i Mercatini di Natale.

Per dire: lo stesso Natale (che conosco di vista) in questo periodo, dimolto canta:

– «È “Natale” e a Natale ci devi dare di piùuuu…»

(E sarebbe pure un simpaticone, al netto del mestiere di estortore e picchiatore camorrista. Ma questa è un’altra storia).

Insomma, s’è fatto Natale.

(Natale quell’altro, il simpaticone, è fatto quasi sempre, quindi non fa testo).

Ce l’ho, una storia di Natale.

(Pressappoco).

(Intendo il “tradizionale”, non il taglieggiatore).

***

C’era una volta…

***

(Un momento. Fermo gioco. In effetti, di essere, c’era: è innegabile, ma… si corre un bel rischio qualora si comincia col dire “C’era una volta…”, è possibile per tale via, sospingere nel Lettore l’equivoco secondo cui, “una volta”, “c’era…” e che al presente non c’è più.

Dovremo iniziare in altro modo, Lettori cari, poiché il protagonista della storia tuttora c’è. Oh, sì, poverino, c’è.

Taceremo, in quali condizioni – a forma di premura in favor della sensibilità delle Lettrici compassionevoli.

Si va a conoscerlo un minimo, pertanto. Bene, allora pronti coi fazzoletti, ché, forse, avanti ci si intenerisce).

***

Il fatto è che oggi pure (attualmente, ai giorni nostri) c’è un tizio assai a modo che… lo scrittore, fa.

Non dice ciò a nessuno; mai afferma questa cosa – neanche per ischerzo –, e se chiedono a lui “Ma che lavoro fa?”, le braccia costui allarga – invero, desolato –, s’inventa qualche idea, quel che gli viene in mente; però che sia plausibile; che paghi due bollette; che paia un po’ normale.

***

(Ecco, così è meglio. Mi pare. Mi.

E, per sovrammercato, se il Lettore volesse, le può pure cantare, le quattro righe sopra. Io l’ho fatto, e me ne sono trovato una meraviglia. Consiglio, quindi. Ma se non vuole – mettiamo si trovi su un treno o una metropolitana, affollati – può farlo in seguito con comodo, a casa. Raccomando: un camino acceso, una poltrona comoda, un bicchierin di quelli buoni, e insomma, tutte quelle belle cose in linea con lo spirito natalizio – espressione che secondo mio cognato etilista, uomo devotissimo a sregolati rituali del sollevamento del gomito, soprattutto durante le festività comandate – si trascuri quelle arbitrarie e le facoltative –, ha l’univoco significato di scolarsi tutto quel che trova nell’ingordo raggio della sua boccuccia idrovora. Lui dice:

– «La controllo, la cosa.» – ma… bah. Behboh.

Andiamo avanti.

Dice: “Ma il camino non ce l’ho.”. E che vuol dire? Nemmanco io, ce l’ho, eppure mica faccio tante difficoltà; se c’è da cantare, canto. Che c’è di male? Certo, canto di nascosto – è vero – ma canto. Stai a vedere, adesso, uno dovrebbe vergognarsi di cantare, in un nascondiglio isolato.

A dire il vero, un poco mi vergogno: è il motivo per cui scelgo questa modalità.

Se qualcuno dovesse sentirmi, faccio finta di lamentarmi per qualche accidente – funziona sempre.

Quasi, sempre: in un’occasione la mia moglie mi smascherò, e sopraffatto da imbarazzo e vivo rossore, non seppi mentirle. “Che fai, canti?” – mi fece – “Pochissimo… quasi niente…” – tentai di scagionarmi – “Soltanto qualche motivetto… sai… quelli che t’entrano in testa dalla pubblicità in tivù… e comunque, riesco a controllarla, la cosa…”.

Mi guardò lasciando fluire dagli occhi un’espressione disillusa, un serrar di palpebre d’impotenza rassegnata.

Mi resi conto, in quel momento, d’averla ferita.

Trovai, dopo, parole sincere con cui scusarmi, e ritornò pace sufficiente, fra di noi. Neppure sputò nella mia minestra, quel giro. Lo fa, ogni volta che percepisce d’essere contrariata.

Ora, caro mio, sto molto attento. Mi chiudo in bagno e faccio un gran bordello con tutti gli oggetti sottomano al fine di coprire la voce; la tengo comunque ad un volume bassissimo.

Si può dire: canto in sordina. Quasi muto.

Meglio: mi canto internamente. Infatti mia moglie mi fa: “Perché tutto ’sto casino..? che combiniamo là dentro..? è tutto a posto, vero..? abbiamo la coscienza pulita, no?!?”.

Ad ogni buon conto, regolatevi come preferite. Se volete cantare cantate, non volete, fate come vi pare.

Io racconto la storia – quasi quasi m’è passata la voglia.

E basta).

***

Per chi non l’avesse voluta capire: c’è uno scrittore – peraltro eccellentissimo – alle prese con un passaggio problematico del romanzo che sta scrivendo.

Tentenna.

Scuote il capo.

Non è tanto per il foglio bianco; non è per l’ennesima sigaretta, inefficace a fornire cooperazione valida (del resto, si sa, il tabaccaccio… non è quello di un tempo. Ormai ci mettono ogni sorta di porcheria additiva, che serve a far aumentare la dipendenza… ah, per favore! Fumi, fumi, e alla fine della fiera, vedi se – putacaso – è stata la sigaretta, a fumarsi a te. Cose da scimunire. Lasciamo stare, vah); nemmeno si tratta d’esser distratto. Intuisce, piuttosto, di trovarsi a un passo (non oltre un passo!) dal potersi intrufolare, grazie alla narrazione delle gesta del “suo” protagonista, negli intricati meandri del mistero che gl’impedisce di sfuggire dalle gattabuie che mortificano i suoi propositi.

In fondo, Signori miei, che va cercando, il detto Autore (eccellentissimo, peraltro)?

(E ve lo dico, cosa insegue).

Nulla più che l’immortalità.

Nient’altro, alla fin fine: spostarsi tra le epoche e lasciare nei varî cassetti di esse – da aprire poi a piacimento, in un’altra occasione – cari pezzi di ricordi, grati appunti d’affetti, memorande note degne, fidati scontrini di commozioni passate.

Bisogna pur ammettere che non rimane agevole (né lieve) agli uomini, vivere ininterrottamente.

Ma, riflettendoci meglio, visto che le cose, le imprese, le storie, se vengono dimenticate, prima o poi si perdono… perché permettere tanto spreco?

“Qualcuno” – pensa l’Autore – “dovrebbe averne riguardo, prendersene cura. E se no, che abbiamo fatto? Un cacchio? Cosa abbiamo sognato, un sogno inservibile? Un abbaglio, inutile a chicchessia?”

“Eh, no.”.

“Non va bene, così.”.

Allorquando ben benino s’è spremuto le meningi, considera in aggiunta:

“A che scopo ci incaglieremmo, così spesso, su cocci e ritagli, su tracce e presentimenti dell’Eternità (l’Amore, la ripulsa alla Morte, l’intuizione di un Dio – se pur sleale) se la sua verità, la sua consistenza, non preesistessero all’idea stessa?”.

“A che servirebbe, quest’idea, solo a farne “terreno edificabile” d’edifici religiosi? No, dico!”.

L’Autore – il quale, non dimentichiamo, a un bel momento, sempre un “illuminato”, è – sa benissimo che financo nei bottoni colorati sulla testa di un pupo di pezza è possibile leggervi la fame, di eternità – sebbene codesto desiderio tema rischi maggiori di quanti sollievi speri.

– «Oh! Fastelli, mazzi di ramoscelli dei miei diciott’anni anni,» – vedete? Infatti rimugina – «dove scoppiettate di fiamme adesso? In qual punto della curvatura della terra volate, ora?»

Visto? Si comprime, intimamente.

Sa benissimo, l’Autore, che per imparare correttamente la solitudine, bisogna averci l’anima professionista, d’un immortale.

Sa benissimo che anche quando la moglie (esemplare, si comprende, molto diffuso in natura) teneramente lo rassicura sulla faccenda che egli non è solo, sulla terra, insieme, definitivamente, lo saranno nell’istante in cui si tufferanno mano nella mano, nell’indeformabile, luminosa, limpida eternità.

Per questo motivo, improvvisamente schizza dal letto dove s’era provvisoriamente tumulato accampando ingegnosi malesseri, bacia lascivamente la moglie – ora ulteriormente persuasa di un suo peggioramento psichico –, esplode convintissimo un potente starnuto dentro il reparto congelatore del frigorifero – non si sa mai, un domani… –, e recupera un’idea, su due piedi.

Secondo lui dovrebbe ravvicinare quella mano nella mano e, a Dio piacendo – se resta tempo – l’eternità.

E infatti scrive:

Quando, talor frattanto,

forse sebben così,

giammai piuttosto alquanto,

come perché bensì. [1]

(Poi però, adorno com’è della distintiva delicatezza d’animo trafugata da reincarnazioni precedenti illustrissime, rimane folgorato dall’illuminazione che non da lui procedono tali versi – ma da sdrucite reminiscenze d’antichi amori distrutti, di rovinose recessioni mistiche, di abusi di droghe assortite, di rogne con la giustizia. Tutta roba attestata nel periodo della seconda, tutt’al più terza, elementare.

Fa niente. Capita.

Qualcosa, troverà).

(Vangelis – Aquatic Dance)

 

[1] Scherzo poetico Parole per musica di Pietro Ferrigni, noto con lo pseudonimo “Yorick figlio di Yorick”

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