AH, PERÒ! – di Danilo Cannizzaro

La magagna abietta sta per essere definitivamente smascherata!

Ah, sì! Fioccano, fioccano, Signori miei, nuove e pregnanti testimonianze a favore della piattezza (nel significato di: “a forma di tappo metallico di gazzosa”, capiamoci…) della terra, sino a ieri – colpevolmente – ritenuta uno sferoide. Fanciulli (!) inconsapevoli che fummo!

(Se ci penso, io stesso mi prenderei a schiaffoni la fisionomia. Ma forti, eh..!

Forti forti.

Cionondimeno).

Di esse robuste documentazioni, vado a produrne una.

Mi si segua, prego.

***

Mi trovo nella disposizione d’animo di poter affermare, serenamente: ci troviamo in uno di quei suggestivi casi in cui, nei bei tempi andati, valenti prosatori, assaliti – essi pure – da un dubbio amletico, perplessi deponevano la penna sul foglio, non prima d’aver cautamente siglato un punto, a chiusura del periodo.

In quel fatidico istante, giusta contegnosa consuetudine, restava loro l’atto di riprendere in mano la medesima penna, esitanti intingerla nel calamaio, e vergare il capoverso successivo consegnando al lettore – quanto lo scrivente, ignaro, pressoché – la domanda: “Angelo o Demonio?”.

Eh.

Ma andiamo al fatto.

Il signor Peritato Gaviozzo – comodamente e familiarmente inteso “Però” dai parenti annoiati e disidratati – era uomo tenacemente votato all’apostolato del “sine quaestiones vivere”: il più serafico quieto vivere, in altri termini adatti ai futuri fondatori delle costituende nazioni dell’Australia e del Molise.

In seguito alla percezione maturata in alcune settimane durante le quali varî indizi lo avevano condotto a constatare una rilevante quota di calorosa affabilità nei riguardi della sua sposa da parte di un prestante giovanotto, Peritato non riusciva a capacitarsi di tante gentilezze, da presso confinanti con la smanceria più svenevole.

Galanterie e squisitezze molteplici – va detto – la sunnominata sposa, donna dotata d’un caratterino spigliato e di modi disinvolti, disdegnava mica, disdegnava.

Egli aveva pertanto disteso sul tappeto della sua mente provata diverse ipotesi, tuttavia non perveniva a raffigurarsi un quadro preciso della situazione:

– «Capisco un bel nulla» – si disse – «dove vuole arrivare costui.» – e per mero amor di aggiornati saperi decise di secondare le mosse dello sconosciuto.

Cominciò così ad osservare – a sua volta inosservato – con attenzione maggiore il gioco di quegli.

Lo vide allora frequentare la casa di lei, dove spesso si presentava con un mazzetto di fiori o un pacchettino; li vide sorridere entrambi, lieti scherzare, ridacchiare ridanciani e gai, prendersi giocosamente in giro vicendevolmente, e fare tutte quelle belle cose peculiari di un progredente affiatamento.

Però (nel senso di congiunzione, al presente, con valore avversativo. Va bene anche come nome proprio di Gaviozzo, fate vobis…) non riusciva ancora a capire dove si volesse arrivare.

Scervellare, si scervellava, ma le supposizioni portavano nell’unica direzione del nulla capito.

Certamente, dissimulava indifferenza della più bell’acqua, ma il suo occhio (l’orecchio, poi, non ne parliamo nemmeno…) vigile era sempre vagante, pronto a cogliere segnali rivelatori: uno, dei movimenti del tizio poteva dunque sfuggirgli? Nòne.

Addosso alla cara consorte, poi, gli occhi vigili erano anche di più – binocoli annoverando, occhi di bue (era solito sbocconcellare un dolcetto di sostentamento, durante le lunghe ora di vigilanza soldatesca) e l’occhio di pernice, persino, che pretendeva, come è buona usanza, anche lui la sua parte (se c’è, non lo escludi, così, a capriccio).

Congetturare, hai voglia se congetturava (Poh, po – po poh!):

“A che gioco” – a un bel momento – “stanno giocando costoro?” – si chiese – “Se credono mi sfugga qualcosa, essi sbagliano di grosso. sono mica nato ieri, io!” – e passò in rassegna ipotesi vecchie, rinfrescandole con l’aggiunta di quelle via via istruentesi, occasione dopo occasione, incontro dopo incontro, appostamento dopo appostamento.

Una benedetta risoluzione definitiva tardava a prendere alloggio, nel suo cervello affaticato, però Però era già bell’e innervosito, nel suo intimo più imo, intuendo che l’individuo aveva ben delle mire, sulla coniuge, donna candida, sì, eppur corredata d’un caratterino spigliato.

Spigliato e brioso, di sicuro, eppure… qualcosa c’era, che lo restaurava… un nuovo presentimento, rivelato dalle movenze in maggior misura caute, rilassate, e da un riconoscibile arrotondamento delle forme. La donna, senza peraltro mutare i modi suoi disinvolti, visibilmente… come dire..? prendeva peso. Si arrotondava.

In particolare le si arrotondò il pancino.

Il signor Gaviozzo, lo notò, e bene in capo se lo segnò, soprattutto quando, col passar delle settimane, quel pancino sembrava volesse evolvere in pancione.

Eh, no. Qualcosa non quadrava.

Un giorno architettò un ingegnoso stratagemma per mezzo del quale gettare una luce chiarificatrice sulla faccenda. Consisté nell’uscire presto di casa per poi tornarvi più tardi all’improvviso, inaspettato. Il piano prevedeva, astutamente, di inserire la chiave di casa nella toppa procurando di attenuare ogni menomo romore e farla girare tante volte quante ne occorrevano perché la porta si aprisse.

(Mica male, il Gaviozzo, eh..?).

Ma nessun suono all’ingresso egli percepì, nessuna voce in cucina, né fiato alcuno in corridoio.

A ben orecchiare, tuttavia, certi fiatini provenivano, dalla camera da letto.

Non più uomo, ma tornado incontrollato, temerario spalancò la porta.

E fu così che egli vide.

Vide le coperte del letto rialzate, a modellare una struttura del tipo di igloo.

– «Matilde!» – perentorio tuonò – «A che gioco stiamo giocando? – Ora mi rendo conto» – rivolto al giovanotto – «a cosa tendessero tutte le vostre galanterie melliflue. Voi smaniavate di avere un commercio con essa!»

Si ingannava, perché non era precisamente un gioco bambinesco, quello a cui stava giocando la donna, peraltro attrezzata di modi disinvolti alquanto, soprattutto nel minuto presente, in cui i risolini divertiti ondeggiavano d’intorno come gentili farfallette.

– «Hai sentito?» – considerò Matilde.

– «Cosa..? no…» – rilevò l’altro esquimese.

– «Giuro! M’era sembrato di sentire la voce del signore del piano di sotto, poverino, quello morto la settimana scorsa… boh… mi sarò sbagliata.»

***

Non s’era sbagliata, invece.

La voce era appunto quella del ragionier Però: deceduto da troppo poco tempo, confondeva i sogni con i ricordi, le memorie con le fantasticherie.

Matilde, poi, oltre ad esser stata mai mai, la moglie, fu nondimeno la destinataria di sospiri lunghissimi, emessi non soltanto dal Gaviozzo del piano di sotto – letteralmente vaneggiava, al di lei pensiero – ma provenienti da tutti i piani, tutti i modi, tutti i luoghi tutti i laghi tutto il mondo. L’universo che ci insegue.

(Un continuo, incessante ragliare, insomma).

(Il pensiero delle sue opulenze, quanti giovanotti avrà smagrito? Non è dato saperlo.

Impossibile salutarli stringendo loro la mano, immaginando i fonemi arrochiti suscitati in loro – nel buio delle loro stanzette – dalla rigogliosa Matilde).

Proprio così: sognano, i defunti freschi, fanno confusione, sperano, si tormentano insomma, talvolta.

A me lo ha detto una vecchia zia, anch’essa molto defunta, la quale si diverte troppo spesso a darmi numeri da giocare al lotto.

Oddio, avessi mai beccato un ambo..!

 

 

 

 

 

 

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